Papa Leone XIV, il Papa guastafeste per la sua continuità con Francesco. In questo modo lo ritengono e lo descrivono oggi i destrorsi, gli appartenenti a una certa parte politica montante, severamente conservatrice. Fin dalla sua prima apparizione si sono subito dati da fare in predizioni, in letture psicologiche e dei gesti, nel riesame della sua storia per predire quel che avrebbe fatto subito e farà Robert Francis Prevost alla guida della Chiesa. Lui oggi 267º papa della Chiesa cattolica, Vescovo di Roma.
Papa Leone XIV vuole una Chiesa salda nella sua dottrina e in contemporanea profondamente attenta al mondo di oggi. Desidera una Chiesa missionaria, sinodale, per la “pace disarmata e disarmante” che opera sempre nel dialogo e con l’incontro.
Però per certi personaggi era più importante fare considerazioni e previsioni sul Pontefice basandosi solo sull’abbigliamento nella prima sua comparsa, tutta una serie di tuttologi pensatori della porta accanto che speravano in un ritorno all’antico, lontano dalla via tracciata da Papa Francesco.
E invece no. Emblematiche alcune sottolineature di Papa Leone XIV.
“Non bisogna cedere alla tentazione di vivere isolati, separati in un palazzo, accontentandosi di un certo livello sociale o di un certo livello all’interno della Chiesa. E non dobbiamo nasconderci dietro un’idea di autorità che oggi non ha più senso”.
“Che tutto il Corpo mistico della Chiesa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri”.
Com’era da aspettarsi dagli ambienti social – ma non solo da questi – c’è stato chi all’inizio ha tirato (e tira ancora) il Papa per l’abito volendolo trascinare nelle fila dei conservatori o dei progressisti, di parti avverse prendendo anche spunto dalle storie dei precedenti pontefici nominatisi Leone: pseudo storici e teorizzatori di ardite tesi sul programma, sulla rotta di Papa Prevost.
I più accaniti e fantasiosi sono i complottisti, i fanatici dei velluti, degli ori e delle pomposità, tutti tesi ad annunciare al mondo con espressioni del tipo, “Vedrete! Ma quale Francesco! Nessuna continuità”.
Loro sanno, conoscono… per chissà quali virtù.
Infatti hanno preso sonore cantonate.
Poi ci sono gli attacchi di altri, da veri disagiati alla ricerca di like sui social… tanto che qualcuno ha definito Prevost come “Un altro Papa Woke”.
Poveri dementi.

Esempio di puro delirio arriva dall’ennesima estremista, Laura Loomer, influencer total destra (conservatrice è dire troppo poco), ombra del presidente statunitense Donald Trump. Riferita a Papa Leone XIV: “È anti-Trump, anti-MAGA, a favore delle frontiere aperte ed è un marxista convinto come Papa Francesco. I cattolici non hanno nulla di buono da aspettarsi. Un’altra marionetta marxista in Vaticano”.
Parole in libertà senza senso e senza che la tizia abbia conoscenza del significato di cattolico.
Probabilmente certi americani avrebbero voluto un cagnolino addestrato sul Soglio di Pietro.
Leone XIV, primo pontefice appartenente all’Ordine di Sant’Agostino e primo statunitense, con sangue francese, spagnolo e italiano, ha fermato ogni speculazione o dubbio, ha virtualmente messo il bavaglio ai folli teorizzatori.
Il suo nome da Pontefice l’ha scelto rifacendosi a Papa Leone XIII (eletto Pontefice il 20 febbraio 1878) e nulla più.
Di fronte a una nuova rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale servono punti fermi sulla giustizia sociale difendendo dignità umana e lavoro così come fu con l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.
“Ho pensato di scegliere il nome di Leone IV. Diverse le ragioni, però principalmente il Papa Leone XIII con la storica enciclica Rerum Novarum affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale. E oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.
Giustizia sociale fra gli obiettivi di una Chiesa che sia vera testimone del messaggio di Cristo.
Del resto è quello che Papa Leone XIV ha sempre cercato di testimoniare nel suo passato, come nella sua opera missionaria fra le difficili realtà del Perù, da missionario e poi vescovo a Chiclayo, città costiera del Perù settentrionale, capoluogo della provincia di Lambayeque.
Conservatore per alcuni versi, ma per nulla simile al presidente statunitense Trump e al vice Vance (che ha ripreso nei mesi scorsi con un post su X-ex Twitter), progressista in tanti versi per l’attenzione ai più poveri, all’immigrazione, al disarmo di parti in conflitto per arrivare alla pace.

Oggetti, parole e colori, significati nello stemma di Papa Leone XIV
Il giglio bianco in campo azzurro sta per purezza e innocenza, nell’araldica ecclesiastica è associato alla Vergine Maria.
Il libro chiuso (il mistero della Verità che si rivela pian piano) su cui è poggiato un cuore rosso trafitto da una freccia (trafitto dalle parole di Cristo, simbolo dell’amore, dono vitale all'uomo da Dio, anche simbolo di libertà) sono l’immagine degli Agostiniani. Ordine cui è sempre appartenuto il Pontefice: sono simboli che si rifanno alle parole e alla teologia di Sant'Agostino.
Le due chiavi di San Pietro incrociate rappresentano la duplice natura del potere conferito da Cristo al primo degli apostoli. La chiave d’oro come potere spirituale della Chiesa cattolica nel perdonare i peccati e aprire le porte del Paradiso. La chiave d’argento simbolo dell’autorità papale sulla terra.
“In Illo uno unum” è un passaggio del commento di Sant’Agostino al Salmo 127 dove il padre della Chiesa spiega come i cristiani siano sì tanti, molto differenti tra loro, ma “nell’unico Cristo sono uno”.
Volendo proprio fare una previsione, il pontefice potrebbe essere un’ottima cerniera fra parti opposte in acerrimo conflitto. Lo testimonia il suo recente invito alla pace in Ucraina, pace fra India e Pakistan, fra Israele e Gaza.
Dopo il suo primo Regina Caeli dalla Loggia centrale di San Pietro:
“L’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale terminava 80 anni fa, l’8 maggio, dopo aver causato 60 milioni di vittime. Nell’odierno scenario drammatico di una terza guerra mondiale a pezzi, come più volte ha affermato Papa Francesco, mi rivolgo anch’io ai grandi del mondo, ripetendo l’appello sempre attuale: ‘Mai più la guerra!‘”.
“[…] nel cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino. Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie”.
“[…] Mi addolora profondamente quanto accade nella Striscia di Gaza. Cessi immediatamente il fuoco! Si presti soccorso umanitario alla stremata popolazione civile e siano liberati tutti gli ostaggi”.
L’invito dato ai giornalisti incontrandoli il 12 maggio, nell’Aula Paolo VI: “no alla guerra delle parole e delle immagini”, a “non cedere mai alla mediocrità”, a creare “spazi di dialogo e di confronto”, a portare avanti “il servizio alla verità” grazie a una comunicazione “non muscolare, ma capace di ascolto”.
“Portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla”.
Sempre rivolto ai giornalisti nell’incontro del 12 maggio, “Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace”.
Potrebbe essere appunto l’uomo giusto per gli scenari tragici di oggi, nello scenario del conflitto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la tragedia fra Israele e Gaza, per non parlare della polveriera India-Pakistan.
Il richiamo alla giustizia sociale, la vicinanza agli ultimi, ai più disagiati, a una Chiesa missionaria e alla pace senza compromessi, ne fa l’uomo giusto nel risvegliare la religiosità fra la gente e tra i giovani, dare slancio a più vocazioni, raggiungere questi obiettivi grazie alla sua grande attenzione verso le sempre lontane periferie, per il contrasto al degrado, per il suo stile che sempre lo ha visto scendere in campo infangandosi fra villaggi alluvionati, in realtà colme di fame e di miseria.
In breve, si è sempre sporcato le mani ricacciando l’idea di alto prelato in portantina, in limousine con perenne autista, dalle ricche vesti, uno stile da prelato mondano che ricaccia indietro: si è già dichiarato contrario alla mondanità che allontana dall’essere vero cristiano.
Continuità con Papa Francesco?
Si, senza dubbio, con le ovvie differenze, a cominciare dal carattere.
Del resto, su circa otto miliardi di umani al mondo, non ne esistono due identici, al massimo simili.
In alto, il vescovo Robert Francis Prevost, poi cardinale e Papa Francesco
Il suo stesso ribadire il concetto di “Chiesa sinodale”, il concepire la Chiesa cattolica come un “popolo di Dio” (tutto, laici compresi) che cammina insieme, che agisce, comprende e decide in modo partecipativo sotto la guida dello Spirito Santo e non sotto i dettami di una rigida gerarchia, che condivide la Fede e la responsabilità della missione. Un approccio promosso da Papa Francesco per quanto riguarda il principio che la Chiesa, tutta, è un soggetto che interpreta il Vangelo, concetto-modello ribadito oggi da Papa Leone XIV.
Tutti noi siamo universi unici con nostre caratteristiche peculiari ma, come da motto di Papa Leone XIV quando era cardinale, “In Illo unum uno” che sta per “In colui che è Uno, siamo uno solo”, componiamo un grande e vario mosaico fatto di tessere colorate e diversissime fra loro. Uno splendido mosaico ricco di esistenze, vivace nella sua varietà, un concerto di prospettive, di visioni e di vissuti.